«Responsabili di disastro ambientale» Discarica a Caserta: sette ai domiciliari
CASERTA — Sono i primi di gennaio del 2008. Napoli è in preda all`ennesima recrudescenza dell`emergenza rifiuti. Le strade sono stracolme di montagne di immondizia. Per venir fuori da una situazione che appare senza rimedio, il premier si affida all`esercito e all`ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Con la nomina di commissario, gli concede poteri davvero straordinari: può aprire discariche o siti di stoccaggio ovunque ritenga opportuno. Anche in deroga alle normative vigenti. De Gennaro dedde di puntare sul sito di Ferrandelle, circa 60 ettari nel tenimento di Santa Maria la Fossa: 40 sono di proprietà del demanio militare; 20 sono stati confiscati al famigerato boss dei casalesi Francesco Schiavone, detto Sandokan. In poche settimane nell`area sono stipate oltre 500 mila tonnellate di rifiuti, consentendo a Napoli di tornare a respirare.
Ma quattro anni dopo, per quella vicenda, la Dda di Napoli ha richiesto l`arresto di 7 persone. Tré sono ufficiali dell`esercito: il generale Salvatore Bernardo (ormai m congedo); il tenente colonnello Giovanni Capasso, progettista dell`impianto; e il tenente colonnello Franco Salomone, direttore dei lavori. Gli altri quattro, sono due geologi - Giuseppe Antonio Diplomatico e Andrea Piccirillo - e due ex funzionari del consorzio intercomunale Geoeco: l`architetto Paolo Madonna, oggi dirigente del settore Ambiente della Provincia, e l`architetto Biagio Vagliviello, custode giudiziale del sito e dipendente della società provinciale Gisec. Il gip ha concesso i domiciliari. Per tutti l`accusa è di concorso nei reati di disastro ambientale, truffa aggravata ai danni dello Stato, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Ð giudice, inoltre, ha disposto il sequestro preventivo di beni per il valore di oltre 3 milioni di euro nei confronti di Antonio Montagna e Roberto Montagna, imprenditori titolari della Simont, la società attualmente in liquidazione che all`epoca «realizzò maggiori introiti in conseguenza della non conformità delle opere compiute rispetto alle specifiche tecniche previste nel capitolato. Gli indagati - si legge nel comunicato a firma del procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho - nell`ambito delle rispettive responsabilità e competenze, hanno intenzionalmente ignorato la presenza di una falda acquifera superficiale, procedendo a false attestazioni. E la presenza della falda è stata ignorata sia nella fase della progettazione che in quella di costruzione, consentendo l`utilizzo di un sito del tutto inadeguato, essendo lo stesso ubicato in un`area dove era vietata la realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti, essendo il terreno estremamente cedevole».
E il progressivo, precoce deterioramento delle barriere costituite dalla piattaforma di calcestruzzo e geomembrana in polietilene ad alta densità («aventi caratteristiche diverse rispetto alle previsioni progettuali»), ha poi aggravato la situazione: perché il cedimento della piattaforma e la lacerazione dei teli impermeabilizzanti hanno favorito l`accesso del percolato nella falda acquifera «esponendo a pericolo un numero indeterminato di persone». In teoria, quel sito di stoccaggio «temporaneo» avrebbe dovuto essere bonificato nell`arco di pochi mesi: ma i rifiuti sono tutt`oggi ancora li. E nel tempo, come segnala nella nota Cafiero de Raho, vi sono stati, smaltiti anche «lavatrici, materassi, divani, fusti d`olio, rottami di autovetture, pneumatici»: tutte cose che nulla hanno a che vedere con la categoria dei rifiuti solidi urbani per i quali la discarica era stata abilitata, e che molto hanno contribuito a peggiorare il quadro. «Nelle piazzole - osserva il procuratore aggiunto della Dda - venivano così a crearsi abbancamenti di rifiuti alti anche 14-15 metri, il cui peso, superato il carico sostenibile, determinava il cedimento della struttura di contenimento sottostante, con la conseguente penetrazione del percolato nella falda acquifera». Per il presidente della commissione regionale per i beni confiscati, Antonio Amato, la vicenda di Ferrandelle è «il simbolo della disfatta dello Stato. Già un bene confiscato alla camorra trasformato in discarica rappresenta un abnormità afferma Amato - ma la certificazione del disastro ambientale, l`inquinamento delle falde, lo sversamento anche di rifiuti speciali, restituiscono la fotografia del fallimento della cultura dell`emergenza che tanti disastri ha prodotto sulla vicenda rifiuti».