Inceneritore, con due delibere la Regione accettò l'acquisto
NAPOLI — Fiducia e ottimismo, oppure disattenzione e superficialità? Sta di fatto che in due delibere la Regione aveva detto sì all'acquisto del termovalorizzatore di Acerra, che peraltro le è stata «imposta» per legge. Nella delibera 174, approvata il 4 aprile, la giunta regionale mostrava grande prudenza e precisava che «pur non essendo contraria, in linea di principio, all'acquisto della proprietà dei cespiti in menzione, riteneva imprescindibile che l'intesa fosse subordinata all'individuazione di una fonte di finanziamento alternativa alle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013». Il 15 maggio, invece, nella delibera 240, la giunta afferma che «si sono verificati i presupposti per rinunciare ai ricorsi avverso citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 febbraio 2012 proposti innanzi alla Corte Costituzionale e al Tar del Lazio», «nel rispetto del principio di leale collaborazione con lo Stato che ha sempre improntato l'azione dell'amministrazione regionale».
Nella stessa giornata, però, il Consiglio dei ministri varava il decreto legge 59 intitolato «Disposizioni urgenti per il riordino della Protezione Civile», pubblicato il giorno successivo. Che contiene una sorta di cronistoria della vendita del termovalorizzatore e la stangata, cioè il riferimento esplicito alla «riduzione dei limiti di spesa di cui al patto di stabilità della regione Campania». Quindi il Governo ha lanciato quello che a Napoli è arrivato sotto forma di siluro proprio mentre la Regione assumeva un atteggiamento fiducioso e accondiscendente. Forse sarebbe stato meglio, per Palazzo Santa Lucia, attendere 24 ore e leggere il reale contenuto del decreto. Comunque che il governatore Caldoro e i suoi assessori si sono sentiti traditi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà, il quale avrebbe assunto un impegno di segno opposto propio per non causare la paralisi della capacità di spesa di Palazzo Santa Lucia.
La storia della cessione del termovalorizzatore è lunga e punteggiata da numerosi provvedimenti di legge e altrettante polemiche a cominciare dal decreto legge 195 approvato il 30 dicembre del
Governo Berlusconi che sanciva la fine dell'emergenza rifiuti, nel quale si cominciò a parlare del trasferimento dell'impianto. Quel decreto fu convertito nella legge 26 del 2010 con una votazione che il 19 febbraio spaccò la Camera: 246 voti contrari, tutta l'opposizione, e 282 pareri favorevoli, tutta l'area del Pdl e dintorni. Tra gli altri, votarono con il Governo l'attuale governatore Caldoro, l'attuale assessore regionale Marcello Taglialatela, il presidente della Provincia Cesaro. Proprio tutti. Anche Paolo Russo, che oggi si batte con grande veemenza contro il nuovo decreto del Governo. Ma non furono poste lì le premesse perché poi, a distanza di anni, le conseguenze ricadessero sulla Regione? Russo non è d'accordo: «In quella norma si prevedeva che la Regione potesse acquistare l'impianto, ma che potessero farlo anche altri enti pubblici o addirittura privati. Il nuovo decreto, invece, contiene tré anomalie. Due di liberalità e una di sostanza. Gli aspetti illiberali sono l'individuazione per norma del soggetto tenuto ad acquistare e del prezzo — quindi non c'è competizione — mentre il trasferimento avviene con risorse di un soggetto terzo, in questo caso dello Stato. L'altra anomalia, più di merito, è che i 355 milioni incidano sul tetto di spesa della Campania».
L'assessore regionale all'Ambiente Giovanni Romano non è del tutto d'accordo: «Quando il decreto Berlusconi fu convertito in legge, tutti sapevano che la Fibe avrebbe vinto il ricorso perché l'impianto le era stato sottratto per completarlo subito ed era affidato alla Protezione Civile. Era stato una sorta di esproprio, necessario in quella situazione. Preoccupati dalla sentenza imminente, si accelerò per porre fine al contenzioso escogitando la soluzione di stabilire per legge vendita e prezzo. Ma alla Protezione Civile, in realtà, non poteva che subentrare la Regione». I parlamentari allora hanno sbagliato? «No, per capire dobbiamo fare uno sforzo di contestualizzazione. L'intento era chiudere prima di un giudizio negativo. Comunque era momento delicatissimo. Però, con il senno di poi, la Protezione Civile ha accelerato la propria fuoriuscita dal sistema Campania. Quando è andata via, il sistema avrebbe dovuto funzionare come un orologio. Ma sappiamo che non è stato così». E la giunta regionale, non ha sbagliato a ritirare i ricorsi? «Sembrava che ce il Governo ha assunto un impegno in incontri istituzionali e poi non l'ha mantenuto. Comunque quella delibera è stata revocata e, a meno che non cambi qualcosa, presenteremo il ricorso alla Corte Costituzionale con il supporto dell'Avvocatura regionale e dell'Avvocatura dello Stato». Adesso cosa accadrà? C'è una soluzione per portare la Regione fuori dalla secca? E servirà a qualcosa il lavoro al quale è stata chiamata una commissione tecnica formata dai professori Mariano Migliaccio dell'Università Federico II, Dino Musmara della Sun e Nicola Massarotti della Parthenope? «No — risponde Romano — i professori dovranno valutare l'impianto e suggerire in che modo eventualmente dovremo rivedere il contratto con Partenope Ambiente, che lo gestisce. Quanto al Governo, basterebbe che cancellasse un rigo del decreto, quello relativo al patto di stabilità».
Si può? E c'è un'alternativa? «Certo che c'è — dice Paolo Russo — ed è un problema ragionieristico. Comunque va cancellata questa vergogna del decreto con rapina, mai accaduto al mondo. Hanno pagato Impregilo in costanza di decreto e mentre era in corso una trattativa con la Regione: un'operazione maldestra che desta sospetti». A chi tocca proporre la soluzione tecnica, lei ha un'idea in merito? «Io? Ma abbiamo un Governo tecnico!», sbotta Russo. Che riprende: «Occorre una soluzione per spalmare la somma su più anni. E mi pare ci sia rawicinamento. Però non è possibile che paghi la Campania. Un'ipotesi è che il conto dell'energia prodotta vada a beneficio della Protezione Civile, magari come anticipo sui fondi Fas. Intanto io ho presentato un emendamento per annullare tutto. Se non ci sarà accordo in commissione Ambiente domani, la settimana prossima in aula potrebbe saltare l'intero decreto».