Uno dei tre arrestati era chiamato "Nerone" dagli altri complici
Roghi inquinanti, presi imprenditori
Bruciavano cavi per ricavarne rame: veleni nei campi
24 gennaio 2008 - Titti Beneduce
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
«Nerone». Erano i familiari e i complici a chiamare così Giovanni Miele, arrestato ieri mattina dai carabinieri con l'accusa di avere bruciato tonnellate di cavi elettrici nelle campagne di Afragola, Casoria e Caivano inquinandoli e immettendo nell'aria enormi quantità di veleni. Oltre a Giovanni Miele altre due persone sono state arrestate dagli uomini del Noe, il Nucleo operativo ecologico: Vincenzo Miele ed Enzo Rosano; altre tre (Ugo Miele, Biagio Carannante ed Angelo Marmolino) dovranno presentarsi tutti i giorni alla polizia giudiziaria.
Tre aziende sono state sequestrate. I provvedimenti sono stati emessi dal gip Stefano Risolo su richiesta del pm Cristina Ribera. L'organizzazione aveva come paravento le aziende sequestrate, formalmente attive nel settore del riciclaggio dei rifiuti: riceveva cavi di rame attraverso vari canali (è stato sequestrato per esempio un carico di componenti elettriche rubato nel porto di Genova lo scorso marzo) e poi provvedeva a triturarli o a bruciarli. I roghi avvenivano nelle campagne di proprietà di due nuclei familiari, i Miele e i Rosano. Tragiche le conseguenze che l'immissione nell'atmosfera di tanto piombo e antimonio potrebbe avere, inclusa la nascita di bambini malformati. Di fronte agli altissimi guadagni garantiti dalla vendita del rame, però, tutto il resto passava in secondo piano, per la banda. E i carabinieri del Noe, coordinati dal maggiore Giovanni Caturano e dal capitano Achille Sirignano, hanno ascoltato dalla voce dei protagonisti i prezzi del rame, che variano a seconda della qua-lità: «La seconda sta 8000 lire, la prima 8500, la terza 7500». Affari d'oro, quindi, che Giovanni Miele e gli altri continuavano a fare nonostante le proteste dei cittadini per i roghi e le pressioni delle forze dell'ordine. È stato inoltre smentito il luogo comune secondo cui a bruciare cavi elettrici per ricavarne rame sono i Rom degli accampamenti a Nord di Napoli: almeno in questo caso, i Rom non c'entrano.
La banda poteva essere fermata molti mesi fa, rendendo un po' meno pesante il bilancio dell'inquinamento, ma non è stato possibile a causa della farraginosa legislazione processuale penale e della carenza di uomini. È uno sfogo amaro quello cui si è abbandonato il procuratore aggiunto Aldo De Chiara, che ha coordinato l'inchiesta, nel corso della conferenza stampa che si è svolta nel comando provinciale dei carabinieri: sono infatti passati oltre sette mesi tra la richiesta delle misure cautelari, avvenuta il 4 giugno scorso, e il via libera da parte del gip. È una «doverosa precisazione per l'opinione pubblica» quella che il magistrato ha fatto prima dell'inizio della conferenza. «Le misure cautelari dell'operazione che oggi presentiamo — ha detto De Chiara — sono state richieste lo scorso 4 giugno, a dimostrazione che non ci stiamo muovendo soltanto adesso per contrastare il gravissimo fenomeno dell'inquinamento ambientale». A spiegare queste lungaggini, dunque, sono «le normative — ha detto ancora De Chiara — che non ci aiutano a procedere in tempi ragionevoli» e «la carenza di mezzi e uomini». Ma a contribuire al clima che il procuratore aggiunto definisce «teso» c'è anche «la scarsa collaborazione degli imprenditori che tacciono di fronte a questo tipo di illegalità ma che poi manifestano contro l'apertura di discariche e la costruzione di inceneritori».
La banda poteva essere fermata molti mesi fa, rendendo un po' meno pesante il bilancio dell'inquinamento, ma non è stato possibile a causa della farraginosa legislazione processuale penale e della carenza di uomini. È uno sfogo amaro quello cui si è abbandonato il procuratore aggiunto Aldo De Chiara, che ha coordinato l'inchiesta, nel corso della conferenza stampa che si è svolta nel comando provinciale dei carabinieri: sono infatti passati oltre sette mesi tra la richiesta delle misure cautelari, avvenuta il 4 giugno scorso, e il via libera da parte del gip. È una «doverosa precisazione per l'opinione pubblica» quella che il magistrato ha fatto prima dell'inizio della conferenza. «Le misure cautelari dell'operazione che oggi presentiamo — ha detto De Chiara — sono state richieste lo scorso 4 giugno, a dimostrazione che non ci stiamo muovendo soltanto adesso per contrastare il gravissimo fenomeno dell'inquinamento ambientale». A spiegare queste lungaggini, dunque, sono «le normative — ha detto ancora De Chiara — che non ci aiutano a procedere in tempi ragionevoli» e «la carenza di mezzi e uomini». Ma a contribuire al clima che il procuratore aggiunto definisce «teso» c'è anche «la scarsa collaborazione degli imprenditori che tacciono di fronte a questo tipo di illegalità ma che poi manifestano contro l'apertura di discariche e la costruzione di inceneritori».