Rifiuti tossici, ecco la holding dei Casalesi
Masseria del pozzo era una delle contrade più fertili dell’area di confine tra Parete e Giugliano. Come Schiavi, d’altronde. Terra buona, che nutriva i pescheti e le serre di fragole, gli orti e i vigneti di asprinio. Masseria del pozzo era terra di nessuno, di Gaetano Vassallo e della camorra casalese che propriò lì andò a seppellire Raffaele Roselli e Salvatore Riccardi, ammazzati dalla lupara bianca. Vassallo, con i suoi nove fratelli, invece vi andava a nascondere rifiuti: urbani, nocivi, tossici, scorie urbane e veleni industriali, i ottomila quintali di fanghi dell’Acna di Cengio e scarti di lavorazione del poliestere. Per quasi vent’anni, indisturbato o quasi, impunito nonostante l’evidenza, tre volte accusato e tre volte assolto. Due mesi fa Gaetano Vassallo ha iniziato a collaborare con la giustizia e ha raccontato la storia delle due discariche, a Schiavi e Masseria del pozzo, ma anche degli sversatoi di Tre Ponti e San Severino: una distesa immensa di terreno, a tratti autorizzata e a pezzi abusiva, il luogo dove sono stati sotterrati i rifiuti di mezza Italia, confluiti a Giugliano e Parete attraverso la Ecologia 89, l’Ecotrasp, la Setri, la Cicagel, la Novambiente. Società controllate direttamente dalla camorra (Francesco Bidognetti, Vincenzo Zagaria, Antonio Iovine, Giuseppe Diana, Francesco Di Puorto) o da imprenditori in odor di camorra, come Cipriano Chianese e lo stesso Gaetano Vassallo. Traffici che fruttavano milioni di euro. Il solo Gaetano Vassallo ne avrebbe guadagnati sei in una decina di anni. Soldi depositati in banca, che fruttavano interessi del 13 per cento l’anno, sufficienti da soli a coprire i costi di gestione. Poi le entrate dei fratelli Raffaele, Cesario, Carmela, Nicola, Antonio, Amedeo, Rolando, Renato e Salvatore, e della suocera del fratello, Elena Rao, vedova e nullatenente, trasformati in un imponente patrimonio immobiliare: 45 appartamenti, sette ville, terreni, un albergo (il Vassallo hotel), locali commerciali, un ristorante (’Zi Nicola a Cesa). E inoltre, in depositi bancari e un parco mezzi nel quale spicca una Jaguar. Gaetano Vassallo ha parlato. I pm antimafia Giovanni Conzo, Raffaello Falcone, Alessandro Milita e Maria Cristina Ribera hanno ascoltato. L’attività di riscontro è stata affidata alla Squadra mobile del vicequestore Rodolfo Ruperti, nelle cui mani Vassallo aveva affidato la denuncia contro gli esattori del clan Bidognetti e la sua disponibilità a collaborare «a tutto tondo» con la giustizia; e alle Fiamme gialle del capitano Alessio Bifarini, al quale è toccato il non semplice compito di ricostruire in poche settimane vent’anni di movimentazione bancaria e di intestazioni fittizie di beni e società. Il primo risultato è stato il maxi-sequestro - realizzato all’alba di ieri - che colpisce il patrimonio familiare dell’intera famiglia Vassallo: undici imprenditori, pentito compreso, al quale è stato sottratto un patrimonio il cui valore è stimato in 40 milioni di euro. Sequestro urgente perché, vista la guerra in corso e dopo l’omicidio di Michele Orsi, molte proprietà stavano per essere cedute. I primi verbali di Gaetano Vassallo raccontano una storia già nota, ricostruita quindici anni fa dai carabinieri del Nucleo operativo dei carabinieri di Napoli nell’inchiesta che fu battezzata «Adelphi», in ossequio agli accertati rapporti tra camorristi, ecomafiosi e «fratelli» di due logge massoniche del centro-nord. Si scoprì che una delle società della holding, la Ecologia 89, aveva rapporti stabili con Licio Gelli, la cui villa a Castiglion Fibocchi fu perquisita la mattina del 30 marzo 1993. Si ricostruì il reticolo di interessi e di coperture, anche istituzionali, che avevano consentito al gruppo di operare indisturbato nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti, urbani e industriali. Fu coinvolto anche l’assessore all’ambiente della Provincia di Napoli, Raffaele Perrone Capano, uscito di scena nel processo di appello. Nel 1993, e fino al 1995 - ha confermato Vassallo - l’affare subì uno stop. Poi la ripresa, con altre sigle ma con gli stessi nomi, fino al 2005. Ripresa che nei verbali allegati al decreto di sequestro è raccontata solo a tratti. Gli omissis lasciano capire che altre coperture e altri soci occulti sono prossimi a essere svelati.
«Io fui condannato dal Tribunale di Napoli, in primo grado, e fui prosciolto in appello. Credo che fu dichiarata la prescrizione. Io ero colpevole». È il 7 aprile 2008, poco più di due mesi fa. Gaetano Vassallo, per vent’anni uno degli strateghi dello smaltimento dei rifiuti tra Napoli e Caserta, arrestato tre volte e sempre assolto, amico e complice di camorristi ma sempre scagionato, siede davanti ai magistrati della Dda di Napoli e racconta come e con chi ha gestito discariche, trasporto e smaltimento di scorie tossiche, rapporti di affari con camorristi e imprenditori «al limite». Da pochi giorni è un collaboratore di giustizia, ma nel programma è entrato senza alcuna pendenza giudiziaria. Anzi. Nell’inchiesta sul clan Bidognetti, quella che alla fine di marzo aveva portato a una cinquantina di ordinanze di custodia cautelare, è parte offesa, vittima di un tentativo di estorsione fatto al suo albergo, l’hotel Vassallo a Castelvolturno, da Giuseppe Setola e Alessandro Cirillo, killer del gruppo Bidognetti. Blitz arrivato all’indomani del cambio di strategia del clan dei Casalesi, all’indomani dell’annuncio della campagna di primavera. Gaetano Vassallo ha paura, teme per la sua vita e per quella dei suoi figli. Si affida allo Stato e ammette: «Sono stato sempre assolto ma sono stato sempre colpevole». Colpevole di complicità con la camorra, di aver offerto appoggio e copertura agli assassini di Luigi Marino (uomo legato a Bidognetti, ucciso a Cesa il 31 marzo del 1990) e di aver consapevolmente avvelenato la sua terra, quella che un tempo fu la fertilissima Campania Felix. Il primo verbale di Gaetano Vassallo, 50 anni, di Cesa, porta la data dell’1 aprile. «Intendo riferire su questi argomenti: smaltimento illegale dei rifiuti speciali, tossici e nocivi a partire dal 1987-88 fino all’anno 2005. Smaltimenti realizzati in cave dismesse, in terreni vergini, in discariche non autorizzate e in siti che posso materialmente indicare. Si tratta di smaltimenti realizzati in forma organizzata, unitamente ad altre persone, sia appartenenti (...omissis...) che legati al crimine organizzato e in particolare ad esponenti del clan dei Casalesi». Parla di Novambiente, la società di famiglia che gestiva la discarica di Schiavi, a Giugliano. Rivela gli interessi suoi e dei suoi nove fratelli, tutti indagati per concorso esterno in associazione camorristica e disastro ambientale, nonché le operazioni finanzierie e immobiliari del fratello Salvatore e della cognata Elena Rao, fatte per sottrarre beni agli accertamenti patrimoniali. Si aggancia alle origini, ai suoi rapporti con Gaetano Cerci (parente di Bidognetti, uomo legato a Licio Gelli e alla massoneria toscana e ligure) e con l’avvocato Cipriano Chianese (coinvolto in un’altra inchiesta della Dda di Napoli). Parla di Ecologia 89, la società con sede in Toscana che faceva capo a Francesco Schiavone-Sandokan, Antonio Iovine e Francesco Bidognetti. Racconta dei suoi rapporti con gli intermediari toscani, già riferiti anni fa dal pentito napoletano Nunzio Perrella e disvelati dai carabinieri nel 1993, nell’operazione Adelphi. Un omissis che lascia intravedere nuovi sviluppi investigativi, chiude il verbale illustrativo: «Faccio presente che verso la fine degli anni Ottanta, inizio dei Novanta, ogni clan si era organizzato autonomamente per smaltire illecitamente rifiuti provenienti da produttori italiani, interrandoli in discariche abusive; in realtà è stata scoperta soltanto una delle organizzazioni, quella facente capo a Ecologia 89, ma vi erano sistemi paralleli gestiti da altre famiglie...».