Holding Fabbrocino sequestrate 3 imprese La cassaforte dei clan Operazione della Dia nell`area vesuviana

Asfalto e rifiuti: sigilli alle ditte di lovino

L`imprenditore è ritenuto prestanome dei Fabbrocino Un milione il valore dei beni
27 aprile 2012 - Carmen Fusco
Fonte: Il Mattino

Tre aziende e un patrimonio di oltre un milione di euro sequestrati dalla Dia al prestanome del clan Fabbrocino, Antonio lovino. «Siscarella», così viene chiamato nell`ambiente della mala l`imprenditore finito agli arresti il 30 gennaio scorso, aveva intestato ad altri le quote sociali delle imprese di cui è amministratore di fatto, per evitare la scure della normativa antimafia. Tra le ditte destinate alla confisca, la Indemar di San Gennaro Vesuviano, di cui risulta titolare un fidato dipendente di lovino ma che, come evidenziano dalla Dia, «è storicamente riconducibile al suo gruppo imprenditoriale». Non solo. I sigilli sono scattati anche per Cam-Co Campania costruzioni sri di Ottaviano, ufficialmente detenuta da persone risultate nullatenenti: intestazione fittizia per ottenere gli affidamenti dalle banche e le autorizzazioni necessarie alla partecipazione a gare per l`affidamento di lavori pubblici. Provvedimenti di sequestro anche per la Margó srl di San Gennaro Vesuviano, dove l`imprenditore della mala ha investito gli illeciti profitti conseguiti negli anni. La società in questione risulta anche proprietaria dell`eserci zio commerciale di famiglia, specializzato nella vendita di pelletteria, profumi ed accessori femminili griffati a Ottaviano. L`operazione, eseguita dagli uomini del centro operativo di Napoli della Dia, nell`ambito di un procedimento penale coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha determinato anche la notifica di informazioni di garanzia per cinque persone. Lo status criminale di lovino trova dunque ulteriori conferme: condanne e misure di prevenzione personali e patrimoniali non gli hanno, infatti, impedito di continuare a imporre nell`area di riferimento del clan, la leadership nel settore dell`estrazione di materiali da cava e in quello del movimento terra, proprio utilizzando «imprese intestate a compiacenti prestanome». D`altra parte è proprio questo il motivo per il quale, a gennaio, «Siscarella» era finito in manette: a suo carico, infatti, erano stati raccolte importanti e gravissimi indizi per dimostrare l`infiltrazione in un importante appalto pubblico per la realizzazione di una strada di collegamento interprovinciale. Si tratta del cantiere dell`autostrada A30 Caserta-Salemo, nel tratto che ricade nel comune di Palma Campania: è li che lovino aveva imposto la fornitura di materiale da cava misto a rifiuti di ogni sorta, da società intestate a terzi ma di cui egli era in realtà, il vero titolare. A mettere in luce à affare erano state le indagini affidate ai carabinieri della compagnia di Noia diretti dal maggiore Andrea Massari. Un lavoro certosino cominciato nel 2009 con una serie di danneggiamenti e intimidazioni ai danni delle aziende subappaltatrici delle opere. L`uso della forza, dunque, per smaltire illegalmente rifiuti e per lucrare sulla vendita di materiale di pessima qualità oltre che dannoso per la salute. Il monopolio degli affari nella zona, insomma, anche se lovino, il clan Fabbrocino e le ditte collegate hanno esteso i propri tentacoli anche altrove. Il suo nome compare, infatti, nelle carte della Procura di Salemo che, nel 2002, indagava sui lavori della Salemo-Reggio Calabria. «Siscarella» Ðé coinvolto in una vicenda di subappalti. In quel caso la ditta riconducibile all`imprenditore vesuviano era la San Giorgio Beton, cacciata dal cantiere per mancanza dei requisiti antimafia. Fu rimpiazzata con il meccanismo del nolo a caldo, vale a dire il fitto di macchinari con l`impiego dei lavoratori della dittafomitrice. Sistema, quello del nolo a caldo, indicato come uno dei quindici sistemi di infiltrazione scoperti dalla Direzione nazionale antimafia. Al posto della San Giorgio Beton arrivò però la ditta Elettromugnano, sempre di lovino.

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