Buzzi apripista un polo-rifiuti costruito intorno al cemento

Non in discarica ma al cementificio con i rifiuti si dimezza la bolletta

L`ACCORDO TRA BUZZI UNICEM E LA PROVINCIA DI CUNEO PER BRUCIARE NEI FORNI DEL CEMENTIFICIO CIÒ CHE FINORA VIENE PORTATO IN DISCARICA PUÒ DIVENTARE UN MODELLO NAZIONALE. IN GERMANIA E FRANCIA GIÀ LO FANNO E NE ACQUISTANO IN COMPETITIVITÀ
23 aprile 2012 - Luca Pagni
Fonte: Affari & Finanza

Milano Sulla carta sembra uno di quei modelli costruito apposta per essere replicati ovunque serva. L`idea l`anno avuta in provincia di Cuneo, alle prese con l`annosa questione di non dover mandare in discarica i rifiuti urbani e industriali che non si riescono a riciclare dei suoi 54 comuni. L`alternativa, come si sa, è bruciarli. Ma non disponendo di un termovalorizzatore e non volendo impegnarsi in un investimento cospicuo per costruirne uno nuovo, la Provincia di Cuneo ha firmato una convenzione con un privato. In particolare, con Buzzi Unicem, il secondo gruppo in Italia per la realizzazione di cemento e clinker, che nella provincia "granda" ha in attività un impianto produttivo fin dal 1988.
Il do ut des è molto semplice: l`ente locale smaltisce i rifiuti (con una tecnologia fornita da Pirelli Ambiente) opportunamente pre-trattati, la Buzzi risparmia sull`uso dei combustibili da idrocarburi per alimentare l`impianto che in questo modo è completamente autonomo. Inoltre, si limita anche l`emissione della C02. Il caÌcolo è presto fatto ogni 50 tonnellate di rifiuti che alimentano il cementificio sono l'equivalente di 30mila tonnellate di carbone con un risparmio di 46mila tonnellate di C02 emessa.
Anche qui, come altrove, non mancant) le contestazioni a livello locale. Perché le emissioni ci sono, anche se ovviamente sotto i valori di legge. Ma, in ogni caso fanno notare gli esperti, fino a quando non si riuscirà ad ampliare le politiche che ci avvicinano al riciclaggio totale, costituiscono una alterativa meno inquinante delle discariche.
È la stessa politica che - soprattutto nelle regioni del nord Italia - ha portato allo sviluppo di impianti di termovalorizzazione, che si basano sulla stessa logica di ottenere più vantaggi economici con una sola operazione: si bruciano rifiuti e si ottiene energia elettrica non solo necessaria per far funzionare l`impianto ma anche da vendere al Gestore del sistema elettrico nazionale. Ma spazio ulteriore per utilizzare il sistema dei forni non manca per chi volesse sfruttarlo. In Italia, il 50 per cento dei rifiuti finisce ancora in discarica, con punte molto più alte nelle regioni meridionali. Nonostante i numeri siano sempre migliori, il riciclaggio completo copre il 34 per cento dello smaltimento, per cui la quota della termovalorizzazione si limita a un 16 per cento. Anche se su quest`ultimo punto qualche passo avanti è stato fatto: secondo un recente rapporto Federambiente con il supporto dell`Enea, dal 2004 al 2010, la produzione di elettricità dei termovalorizzatori è passata da 2.436 a 3.887 gigawatt. Ma non è un caso che da più parti si stia lavorando alla moltiplicazione del caso Cuneo-Buzzi. Un modello su cui sta premendo la lobby dei cementieri che intravede una possibilità di risparmio, ancor più necessario in un momento di stasi del settore immobiliare e ancor dipiùdelleoperepubbliche. Mache si incrocia anche con le necessità degli enti locali si smaltire i rifiuti urbani e industriali meno pericolosi.
Del resto, è questa una delle strade che intende intraprendere il governo Monti. La conferma è arrivata il 12 aprile scorso proprio dal ministro dell`Ambiente Corrado Clini. Il quale ha annunciato che entro maggio verrà presentato «un decreto che prevede l`impiego di combustibili solidi secondari nei processi industriali, in particolare nel settore del cemento che aiuterà anche molte regioni ad uscire dallo stato di emergenza, per valorizzare energeticamente i rifiuti e per uscire fuori da un circuito nel quale la malavita organizzata ha avuto un ruolo molto importante».
Un`opportunità che il settore vuole prendere al volo. E ha moltiplicato le attività per ribadire la convenienza per il sistema paese. Secondo i dati degli industriali del settore «a parità di cemento prodotto è possibile arrivare a sostituire 2 milioni di tonnellate l`anno di combustibili fossili, il che è pari al 50 per cento dell`energia consumata».
Tra l`altro, secondo i cementieri questa sarebbe una delle ragioni che accresce il divario competitivo con i concorrenti del resto d`Euro- Italia è possibile coprire solo 1`8 per cento di quella che viene definita la "sostituzione calorica" dei combustibili fossili con quelli alternativi come la combustione dei rifiuti, Una percentuale che ci tiene ben lontano da altre nazioni del Vecchio Continente come laFrancia, dove la quota di sostituzione è pari al 27 ¡»er cento, l`Austria con il 38 per cento per non dire del 61 per cento della Germania.
Dal punto di vista economico non si tratta solo di questo. Per l`industria del cemento, l`opportunità offerta dei rifiuti è un modo per t ra sformare un costo in un beneficio. Perché invece di alimentare i forni con una materia prima a prezzo elevato come gli idrocarburi, usano rifiuti da cui ottengono l`energia elettrica pergli impianti. Secondo alcuni analisti, infatti, l`industria cementiera che è capitai intensive nel lungo periodo non sarebbe in grado di mantenere gli impianti con una capacità al di sotto del 60 per cento.
Per dare sostanza alle loro richieste, le società del settore possono presentare uno studio del centro ricerche Nomisma, da poco pubblicato, dedicato proprio alle potenzialità e ai benefici dell`impiego di rifiuti nell`industria. Primo fra lutti quello della diminuzione dell`uitilizzo di materie prime importate dall`estero da utilizzare negli impianti di produzione del cemento. Secondo Nomisma, il risparmio di carbone e petroleum coke sarebbe di almeno 259 milioni all`anno, pari a 2,6 miliardi nei prossimi 10 anni a parità di aìtre condizioni. A questo si deve poi aggiungere un risparmio di 108 milioni all`anno sui permesso di C02. infine, c`è l`effetto sull`occupazione e gli investmieiiti: ipotizzando per questi ultimi almeno 2 miliardi, vorrebbe dire almeno 10mila posti di lavoro ail`anno.

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