«Ho denunciato come Orsi ora temo per la mia vita»
Teme di fare la stessa fine di Michele Orsi, l’imprenditore assassinato dodici giorni fa a Casal di Principe. Il maggio di sangue del Casertano provoca inevitabili ripercussioni nelle aule di giustizia. Gup Enrico Campoli, processo al clan La Torre, parla l’imprenditore Alfonso Letizia (che vive senza scorta), nel corso dell’inchiesta sulle collusioni tra politica e camorra nella gestione del consorzio di bacino Eco4. L’esame dell’imprenditore parte da una premessa: «Ho paura per quanto sta avvenendo. Dopo l’omicidio di Michele Orsi, dopo l’escalation di delitti dell’ultimo mese, si respira una brutta aria e non posso non aver paura». Teme di fare la stessa fine dell’ingegnere ammazzato nel proprio paese d’origine. Risponde alle domande del pm Alessandro Milita, lui che non nasconde il suo status giudiziario: si occupa da una vita di calcestruzzo, fa l’imprenditore, e in passato è finito in cella per favoreggiamento e per antichi legami con la camorra locale. È l’inchiesta Eco 4, la stessa nella quale avrebbe dovuto deporre l’imprenditore ammazzato all’esterno di un bar di Casal di Principe. Ed è proprio all’ultimo omicidio, quello dell’ingegnere Orsi, che Alfonso Letizia fa riferimento, ricordando la scia di sangue che ha bagnato una fetta di regione: «Certo che mi fa paura questa situazione, credo di essere anch’io a rischio». Viene incalzato dal pm, che gli chiede di confermare i nomi dei boss che lo avrebbero taglieggiato, parla di Augusto La Torre, Mario Sperlongano (poi diventato collaboratore di giustizia e deceduto di morte naturale), Vincenzo Sorrentino. Non parla di un altro imputato, invece, di Giuseppe Diana, imprenditore accusato di essere inserito nella cupola dei casalesi (difeso in questo processo dal penalista Antonio Abet) e il pm lo incalza proprio sui rapporti tra camorra e economia in una larga fetta di hinterland campano. Poi ricorda di essere finito nel mirino. Ha subìto più di una volta attentati e azioni intimidatorie. Spari contro la sua abitazione, finanche una bomba all’esterno della porta di casa, poi il racket delle estorsioni. Finito in cella per favoreggiamento, per presunte collusioni con la camorra, ha reso in passato alcune dichiarazioni accusatorie. Ieri le ha confermate in aula. Il processo è quello che ha svelato presunte collusioni nella gestione dei consorzi di bacino. Camorra, politica, imprenditori. E omicidi. Gli ultimi episodi nella zona dominata dal cartello dei casalesi parlano chiaro. L’omicidio di Umberto Bidognetti, il padre del collaboratore di giustizia, l’attentato in casa della nipote della pentita Anna Carrino, la precisa strategia di intimidazione coincisa con gli omicidi dell’imprenditore Noviello e dello stesso Orsi. Ma anche roghi alle aziende di chi non paga il pizzo e precisi messaggi trasversali. Un crescendo di violenza che mette paura anche a chi ha in passato convissuto con la malavita organizzata, anche a chi non può certo vantare una storia cristallina, quanto a fedina penale. Dalle strade impolverate di Casale alle aule di giustizia, dai caroselli per festeggiare l’ultimo omicidio di camorra in nome e per conto del boss alle istruttorie dibattimentali. Lunedì prossimo è attesa la conclusione del processo Spartacus in Corte d’Appello. Prima la replica del pg alle discussioni degli avvocati, poi almeno due giorni e due notti per deliberare: in gioco ci sono quattordici ergastoli per il gotha della camorra e sette concordati, una vera spallata al più radicato sistema di potere camorristico in Campania.