Barra, campo rom in una discarica
NAPOLI. I campi rom delle periferie napoletane sono spesso il simbolo del degrado per antonomasia. Quello di via Mastellone, nel quartiere orientale di Barra, non fa eccezione alla regola. L'ingresso al campo si ottiene percorrendo una stradina laterale che si inerpica tra le ultime coltivazioni rimaste e i cavalcavia dell'autostrada e della Circumvesuviana. La traversa è lunga poche centinaia di metri, ma è costeggiata ai lati da un'enorme montagna di rifiuti: tra i cumuli c'è di tutto, dai capi d'abbigliamento ai copertoni, dalle lamiere d'amianto all'organico. Il percorso è diventato un ricettacolo di ratti e l'odore ad un certo punto diventa così insopportabile da impedire il cammino. I cavalcavia sono il punto di scarico illecito preferito per gli individui provenienti dall'esterno. Tra i cumuli di rifiuti è possibile scorgere una scritta fatta con lo spray: "Attenzione tubo dell'Arin". Un segnale che ha il sapore della beffa. «Siamo arrivati al ridicolo», esordisce sarcastico Salvatore Dolce, uno degli abitanti della zona «i tecnici della societa idrica vorrennero avvisare gli scaricatori abusivi di stare attenti alle condutture dell'acqua. Infatti guarda come rispettano l'avviso, c'è immondizia ovunque. Qua bisogna partire dai fondamentali, dalle fognature rotte che alla prima pioggia provocano l'allagamento della strada». Eloquenti i filmati postati su Facebook, dove le auto sono costrette a "navigare" in pozze fangose e rifiuti galleggianti. «Ho denunciato a tutti questa situazione, non so più da chi andare», continua Salvatore «Il 18 settembre sono andato perfino in televisione su Raitre in diretta col vicesindaco Tommaso Sodano. Gli ho raccontato tutto, ma nulla è stato fatto. Ho denunciato con posta certificata al Comune, alla Procura, che altro devo fare? Dovrei imbottirmi di benzina e gettarmi sulla discarica; altri salgono sui tralicci, mentre io dovrei farei così per farmi ascoltare. Ogni mattina qui fuori si presenta un pullmino del Comune per portare i bimbi rom a scuola, i quali sono costretti a passare in mezzo ai topi e all'amianto con rischi altissimi per la loro salute. Sai perché non si tocca niente? Perché c'è il business delle bonifiche. Il Comune commissiona sempre alle stesse ditte le bonifiche da fare e il costo di ognuna si aggira in base alle quantità da rimuovere, in media si arriva sui 30mila euro circa. Tenendo conto che se ne fanno più di una nell'arco di un anno, mai in maniera completa e solo a macchia di leopardo, una ditta arriva ad incassare svariate centinaia di migliaia d'euro». Altri numeri li snocciola Tina Formisani, esponente dei comitati civici di Napoli Est: «Questo campo è stato censito da circa 5 o 6 anni e risultano presenti 150 famiglie, dimoranti in casette fatte di pietra e coi tetti d'amianto. I rifiuti vengono prodotti tanto dai nomadi quanto dagli esterni, i quali si recano coi camioncini e ne sversano abusivamente grosse quantità. Alcuni giorni fa hanno scaricato persino del latte rancido e l'odore ora è diventato così nauseante da farti venire i conati di vomito. E poi ci sono i roghi tossici. Sebbene i rom dicano che siano i napoletani a bruciare i rifiuti, e questo è probabile, non si può tuttavia negare che i nomadi facciano parte di una catena di ricettaggio in cui occupano l'ultimo posto, costretti o consenzienti. È il momento che tanto le istituzioni quanto la stessa comunità rom si assumano le proprie responsabilità. Bisogna bloccare le infiltrazioni esterne e per fare ciò basterebbe alzare un muretto che impedisca l'ingresso ai veicoli, poi bisognerebbe bonificare definitivamente e riqualificare l'area: proprio qui vicino c'è un parco di 5000 metri quadrati completamente abbandonato. Invece di perdere tempo in idee senza senso come quella sul Parco dell'Amore, si potrebbe recuperare quest'area verde e riaprirla alla cittadinanza, oppure riutilizzare l'ex zona marcatale, solo da pochi giorni ripulita dai cumuli di immondizia. Insomma serve lungimiranza e cura del territorio, altrimenti non si va da nessuna parte».