I fanghi al posto delle pesche così avvelenano la Campania felix

Giugliano, Qualiano, Villaricca: scarichi illegali dal Nord
6 giugno 2008 - Pietro Treccagnoli
Fonte: Il Mattino

Giugliano. Stanno raccogliendo le pesche. Ma non dappertutto. Perché la terra sta morendo. Avvelenata e mangiata. E i contadini se ne vanno, se ne sono andati. Non esistono calcoli precisi e ufficiali, ma qui nel triangolo della morte (Giugliano, Qualiano, Villaricca) o nella terra dei fuochi, o quello che resta della Campania Felix, chiamatela come volete, hanno distrutto il sessanta per cento dei campi coltivati a pesche, albicocche, mele, pere, susine. Neanche quarant’anni fa era un’Arcadia, sebbene sottomessa a una camorra agreste. Qui la regina è ancora la pesca gialla, la «percòca». «È squisita tagliata e immersa nel vino rosso» suggerisce Nicola, un contadino dalla faccia rugosa, cotta dal sole di giugno. Non sai dire quanti anni abbia. È eterno e non si arrende. Come invece altri agricoltori della zona che hanno abbandonato tutto. Saranno almeno 1500. «Mi guardo attorno e vedo sono monnezza» commenta, con un tono che diventa amaro. Toglie il filtro a una sigaretta e mette lo mette in tasca. Per la sua terra, per la sua «biùtiful cauntri», ha un rispetto che l’abitudine ha reso sacro. «Le piante non danno più frutti. Sono morte». Tocca, quasi accarezza, quegli aborti di pesca, verdi e pelosi, appesi a rami bianchi come la cenere. Persino le foglie hanno avuto paura di crescere sul legno appestato. Dietro i campetti, a Qualiano, in una zona senza nome, scaricano di tutto. Da mesi i cumuli crescono nell’indifferenza, rubando spazio ai preziosi frutteti, i «pàsteni», ingombrano di sentieri, i «lìmmeti», dove i trattori passano a fatica. A scaricare sono per lo più nomadi, ai quali si affidano piccoli e grandi predatori della terra perduta. A volte bastano cinque euro, compreso l’incendio notturno per rendere irriconoscibili i rifiuti e intossicare anche l’aria. In gergo, come hanno accertato con le intercettazioni telefoniche degli inquirenti, lo chiamano «’o sfratto», ma solo quando trattano di carichi pesanti. In questo caso, come riporta anche il rapporto 2008 di Legambiente sulle ecomafie, pagano anche 300 euro a botta. Sversatoi che ritrovi dovunque dal Ponte Riccio, alla zona Asi e fino alle stradine sconnesse che dal Lago Patria s’inoltrano negli appezzamenti paludosi dove pascolano le bufale o vanno a infrattarsi gli innamorati, con le loro auto, anche in pieno giorno. Fino al lago, il più grande dei cinque bacini flegrei, quando il vento gira, arriva anche la puzza di Taverna del Re che in linea d’aria non è molto lontana. Respiri e sai di rischiare malattie polmonari e ghiandolari, la morte lenta, perfida che ha fatto schizzare ben oltre la media gli indici di malattie tumorali in questa terra abbandonata alle fameliche cosche. Ma da dove viene tutta questa schifezza? Difficile dirlo. A Pianura, non lontano da questa landa martoriata, la Procura di Napoli ha indagato sui fanghi velenosi provenienti dall’Acna di Cengio, in Liguria. Dal Nord. Come ha denunciato nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, forte degli atti parlamentari. Mentre Napoli è stretta da mesi e mesi nella morsa dell’emergenza della «sacchetta», tra Licola e Acerra, ma su fino ad Alife, nel Casertano (dove nella monnezza hanno trovato persino un barattolo di vetro con un embrione conservato in formaldeide), e giù fino al cratere del Vesuvio (inquinato con copertoni, batterie esauste e fusti di plastica), si butta, si seppellisce e si brucia di tutto. Le morchie di nafta date alle fiamme sugli pneumatici usati come combustibile da delitto ambientale perfetto, fumano ancora, sotto la carreggiata dell’Asse mediano, poco lontano dal Cdr di Giugliano. Tutto è lasciato così da mesi, senza bonifiche se non a chiacchiere. Un tempo c’erano un allevamento di tacchini e campi di frutta e orti di pomodori, verza, lattuga e broccoli. Ora c’è solo puzza.

 

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