L’ESCALATION CRIMINALE

Spartacus, rinviato il verdetto sui Casalesi

Motivi procedurali, slitta al 16 giugno l’ingresso dei giudici in camera di consiglio. E cresce la tensione
4 giugno 2008 - Leandro del Gaudio

Tabella riassuntiva processo Spartacus Una possibilità di replica offerta al procuratore generale. È la motivazione che ha spinto i giudici della prima corte d’assise d’appello di Napoli, presidente Raimondo Romeres (a latere Maria Rosaria Caturano), a fissare un’altra data prima della conclusione del processo Spartacus, il più importante atto d’accusa a carico della camorra dei casalesi. Finite le discussioni difensive (l’ultima arringa il 9 giugno), si torna in aula lunedì 16. Prenderà la parola il sostituto procuratore generale Francesco Iacone, prima che i giudici della Corte d’Assise d’appello si ritirino per deliberare. E sarà una camera di consiglio blindata. Per almeno due giorni e due notti, i giudici si confronteranno sull’opportunità di confermare le decine di ergastoli comminati in primo grado nel 2005. Possibile che la Corte si sposti a trascorrere la notte in un albergo, come già accaduto per altri maxiprocessi, un sito che va mantenuto strettamente riservato, per ovvi motivi di cautela. È il processo dei grandi numeri, che giunge al secondo grado di giudizio, una sorta di snodo decisivo a tenere in cella decine tra boss e gregari della più potente consorteria criminale in Campania dai tempi della Nco di Cutolo. Settecentocinquanta gli anni di carcere disposti in primo grado a carico di esponenti delle famiglie Schiavone, Zagaria, Iovine, Bidognetti. Basta qualche cenno storico a mettere a fuoco lo spessore del maxidibattimento. In primo grado furono 113 gli imputati chiamati a rispondere di associazione camorristica e omicidi, minacce e estorsione. Poi, al termine di uno stralcio tra reati associativi e delitti di sangue, si è arrivati a 21 imputati in corte d’assise, tutti rigorosamente condannati all’ergastolo. Nel corso del processo d’appello, c’è stato un ulteriore stralcio: sette dei 21 imputati hanno patteggiato la pena (il cosiddetto concordato, oggi cancellato dal decreto Berlusconi per i reati di mafia), tanto da far ipotizzare che la prima corte d’assise d’appello firmerà quattordici condanne all’ergastolo. Tra gli imputati in attesa del verdetto, c’è anche Francesco Bidognetti, il famigerato Cicciotto di mezzanotte, autore di un clamoroso colpo di scena nel bel mezzo dell’istruttoria. È stato Bidognetti, infatti, (assieme al superlatitante Antonio Iovine) a firmare una richiesta di legittima suspicione (il trasferimento degli atti ad altro distretto) sollevando una sorta di caso nazionale. Appellandosi alla Cirami, infatti, Bidognetti e Iovine sostengono di essere vittime di una campagna mediatica e giudiziaria, tesa a delegittimare l’autonomia di alcuni giudici e a mutilare il diritto alla difesa. Con chi ce l’hanno i due boss? In sessanta pagine - lette in aula dal penalista Michele Santonastaso - le accuse allo scrittore di Gomorra Roberto Saviano, alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, al pm anticamorra (oggi giudice di Cassazione) Raffaele Cantone. Durissimi rilievi anche contro il pool anticamorra di Franco Roberti, un attacco a pezzi dello Stato letto nell’aula bunker affollata da detenuti e dai loro parenti. Un attacco che ha fatto da prologo a delitti e attentati che hanno scandito la recente storia criminale campana (per i quali Bidognetti e Iovine vanno considerati innocenti), come l’agguato a carico di Umberto Bidognetti (padre del pentito Domenico); l’agguato a Villaricca, in casa della sorella della pentita Anna Carrino (la messaggera del boss, prima di collaborare con la giustizia), l’omicidio di un imprenditore che denunciò il racket e - ultimo atto - il delitto di Michele Orsi, il «Salvo Lima» della camorra che aveva svelato l’intreccio tra crimine e business rifiuti.

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