Il giudice e la sfida dei Casalesi "Colpiscono chiunque possa parlare"

3 giugno 2008 - Conchita Sannino
Fonte: Repubblica Napoli
«Da Casal di Principe è partita una sfida feroce e raffinata. Il cui unico messaggio è "Non fidatevi, lo Stato non è in grado di difendervi". E questo slogan subliminale rischia di produrre un effetto devastante. I Casalesi, minacciati da una pressione giudiziaria e mediatica senza precedenti, giocano la carta del terrore».
Raffaele Cantone, già pubblico ministero della Dda napoletana finito nel mirino dei clan, oggi magistrato sotto scorta al massimario della Cassazione, analizza con l´occhio dell´ex inquirente di punta questa offensiva che sta insanguinando il casertano.
Dottor Cantone, lei conosce geografie e personalità criminali dei Casalesi. Come può vincere lo Stato?
«Le forze dell´ordine e la Procura hanno dimostrato competenza e fermezza. Io non dispenso ricette. Penso banalmente che se ne uscirà solo con una intensiva e duplice terapia d´urto. Da un lato, la ricerca spasmodica del gruppo di fuoco che sta mietendo vittime eccellenti. Dall´altro lato, con un innalzamento massiccio del controllo del territorio. Nessuno userà la parola "militarizzazione": ma forse è ciò a cui si cerca di tendere. E che per vari motivi non è ancora attuato».
Resta sospesa una domanda che si pone anche il sottosegretario agli Interni, Mantovano. Ovvero: Michele Orsi non avrebbe dovuto essere protetto?
«Direi che prima di aprire eventuali fronti polemici, bisogna chiarire chi era Michele Orsi. Non stiamo parlando di un pentito di camorra che, di punto in bianco volta le spalle ai complici, ai delitti e dice allo Stato: passo con voi. E neanche di un onesto commerciante che di fronte alle minacce del racket fa la scelta coraggiosa di denunciare gli estorsori esponendo se stesso e la famiglia ad un intrinseco pericolo di ritorsione».
Michele Orsi era imputato eccellente in un processo. Ma cambia poi molto?
«Cambia. Per il fatto che Orsi, una volta accusato di avere favorito con i suoi affari il clan, si è difeso dinanzi alla magistratura. E difendendosi aveva cominciato a raccontare una serie di cose, alcune delle quali considerate utili. Ma la raffinatezza della strategia sanguinaria sta proprio qui: nell´avere "punito" un uomo che, per ora, si stava solo difendendo. Ecco la pericolosità: mandare un diktat al silenzio quasi indifferenziato. Che colpisca chiunque. Non solo i pentiti e i testimoni di giustizia veri e propri. Ma anche coloro che, in virtù delle sempre più numerose offensive della Procura antimafia, possono essere tentati dal raccontare qualche aspetto, un retroscena».
L´exploit di Gomorra ha avuto l´evidente merito di raccontare i Casalesi all´Italia e all´estero. La pressione mediatica è alleata della giustizia?
«Penso che la sfida numero uno, anche di fronte a tanto sangue, sia quella culturale. E la sfida culturale si vince tenendo alta l´attenzione pubblica, e certo, contestualmente mettendo in risalto l´impegno concreto di chi lavora sul territorio con immani sacrifici. Ciò detto, la valutazione storica sarà fatta solo tra molti anni. Solo dopo sapremo se il fenomeno che per sintesi chiamiamo "Gomorra" è stata una concausa della strategia del terrore. Ma certo la società civile non ha scelta. Si deve parlare di camorra, per combatterla tutti insieme».

 

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