Ecco come e dove la camorra smaltì i rifiuti illegali

Scarti industriali seppelliti e rifiuti tossici trasformati in materiali per l'edilizia. Dalle industrie venete a Bacoli e Giugliano, nel napoletano. Dove i tumori si sono moltiplicati. Dieci anni di business nelle inchieste giudiziarie di Napoli e Venezia
5 marzo 2008 - Adriana Pollice
Fonte: Il Manifesto

Una incidenza di tumori tra le più alte d'Italia e nessuna discarica illegale che spieghi il fenomeno per il comune di Bacoli, solo voci. Voci che, almeno in un caso, sono diventate qualcosa di più. Sotto sequestro dal 2003, la cava alle spalle del Castello di Baia custodisce il prodotto della via veneta al capitalismo, fatta di alti fatturati e uno scarso interesse per l'ambiente. Il processo in corso presso il tribunale di Napoli racconta le presunte responsabilità campane, mentre il tribunale di Venezia ha accertato venti giorni fa in primo grado i colpevoli dall'altro lato dello stivale.
La vicenda comincia ad aprile 2003 quando i carabinieri del Noe di Caserta si presentano per effettuare dei controlli presso la ditta Pellini e alla cava di Baia della Pozzolana Flegrea Srl, legale rappresentante Vincenzo Lubrano Lobianco. La ditta possiede anche un'altra cava a Giugliano, nella zona di Settecainati, e anche lì scattano i controlli. Così, nel centro cittadino, a due passi dal mare dei Campi Flegrei, dove d'estate si prende il sole e si fa il bagno, gli agenti vengono accolti da un forte odore d'ammoniaca, il giallo del tufo cancellato dalla presenza di rifiuti tossici altamente pericolosi come fanghi industriali, ceneri volatili, scaglie di alluminio e ferro, traversine ferroviarie impregnate di creosoto. Non solo, accertano anche l'assenza di «sistemi atti a separare i rifiuti dal suolo sottostante, né vi sono sistemi di drenaggio e raccolta dei liquidi percolanti», come dagli atti del processo. Nulla che impedisca la dispersione delle ceneri tossiche nell'aria. Risultato: concentrazioni molto oltre il limite consentito di cloruri, cromo, cadmio e una massa di polveri derivate dallo smaltimento di limatura e trucioli di alluminio. In un rapporto della polizia giudiziaria, inoltre, si evidenzierebbe una grave difformità tra i livelli riscontrati e i dati delle analisi Arpac di pochi giorni prima. A Giugliano, poi, trovano fanghi tossici, plastiche e scarti di demolizioni navali, in particolare «una forte fermentazione anaerobica nel sottosuolo e rifiuti di fonderie di ghisa». Anche qui il tutto gettato senza alcuna messa in sicurezza di suolo, aria e falde acquifere.
Secondo il sostituto procuratore Maria Cristina Ribera, la fila di camion che per circa un decennio ha bloccato il traffico di pendolari e vacanzieri portava alla cava rifiuti tossici che venivano vagliati, triturati e trasformati: «La miscela ottenuta - si legge ancora - viene poi inviata a terzi per essere utilizzata in attività edilizia», come dimostrato dal camion carico e pronto per partire, finito anch'esso sotto sequestro. Da dove arrivano gli scarti industriali? La risposta la fornisce un mucchio di big bag trovate sia a Baia che a Giugliano, siglate Nuova Esa, una ditta di Marcon in provincia di Venezia. Di che società si tratti ce lo racconta l'inchiesta «Houdini», partita nel 2001 con il sequestro a Rieti di una cava utilizzata per smaltire illecitamente rifiuti pericolosi.
Un giro d'affari che coinvolge quasi l'intera penisola, seguendo il quale il Noe di Venezia arriva alla Esa e alla Servizi Costieri di Mestre. Secondo il pm Giorgio Gava le due società smaltivano illegalmente amianto, solfuri e idrocarburi per migliaia di tonnellate, trattati in modo illecito a Venezia e spedite in discariche di mezza Italia, soprattutto in Campania. Il sette febbraio scorso sono arrivate le condanne in primo grado per i quattro esponenti delle società coinvolte, poco meno di 13 anni complessivi di carcere, pene maggiori di quelle richieste, e l'obbligo di risarcire le parti civili per circa mezzo milione di euro: «Per anni - ha dichiarato il pm - nessuno si sarebbe accorto di nulla a causa della carenza di controlli da parte di pubblici ufficiali distratti o compiacenti».
Ceneri, fanghi e reflui di aziende come la Breda Sistemi Industriali, la Recordati, la Montefibre o la Centrale Enel di Fusina. Stando agli investigatori, la Nuove Esa in uno solo degli anni di attività preso a campione avrebbe piazzato illecitamente venti milioni di chili di rifiuti pericolosi, evadendo in un mese 300 mila euro di ecotassa, inquinando Lombardia e Veneto come Sardegna, Campania e Puglia. Un meccanismo semplice: la Cooperativa ceramica di Imola, ad esempio, pagava 220 lire al chilo per lo smaltimento mentre la società di Marcon al titolare della discarica dava 7 lire al chilo. A Bacoli e a Giugliano, poi, sarebbero finiti polveri e schiumature di alluminio senza avvertire che si trattava di materiale da tenere all'asciutto, perché pioggia e umidità avrebbero provocato non solo l'emissione di ammoniaca ma anche il rischio di esplosioni. Una polveriera nociva miscelata con terra e segatura per spacciarla come roccia e terra proveniente da scavi grazie a certificati fasulli.
«In attesa che il processo a Napoli faccia il suo corso - dichiara il consigliere comunale di Bacoli Giacomo Perreca - ho presentato gli atti dell'inchiesta in comune perché venga affrontato il problema della bonifica della cava di Baia, perché venga ingiunto alla Pozzolana Flegrea di risanare il luogo. E' da aprile che aspetto».

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