Rifiuti e Camorra: ecco le discariche gestite dai clan
Giugliano - Voler guardare l’altra faccia dell’emergenza rifiuti, al di là cioè dei cumuli di spazzatura e delle proteste di questi mesi, significa iniziare un viaggio nell’inferno della Campania martoriata dalle discariche abusive e dagli smaltimenti illeciti, dai silenzi e dalle inadempienze, dalla criminalità organizzata e dalle connivenze. Significa andare dove affondano le radici dell’osceno e dolente presente. Quattordici inutili anni di commissariato straordinario – il compleanno è caduto lunedì scorso – non hanno smucchiato i cumuli di spazzatura urbana per le strade delle città e hanno lasciato che sempre più della Campania affiorasse l’immagine-destino che la camorra ha cinicamente scelto per la 'sua' regione: pattumiera d’Italia e d’Europa. Il problema insoluto dei rifiuti ha paradossalmente portato alla luce quello che già si vedeva, abbandonato sulle provinciali, lungo l’asse mediano, nelle campagne che le vie a scorrimento veloce e i binari della ferrovia costeggiano. Non sacchetti casalinghi, ma scarti e scorie industriali.
Come in ogni viaggio ci sono una data e un luogo da cui avviarsi: 1989, Villaricca. Una data e un luogo che segnano il princio della dissoluzione finale di quello che restava della Campania felix e il pas- saggio dalla fase artigianale a quella industriale dello smaltimento illegale dei rifiuti, tossici in particolare, e la nascita della potentissima ecomafia campana.
Partiamo, dunque, dal 1989 e da un ristorante alla periferia di Villaricca, il Comune a Nord di Napoli dove tra le proteste dovrebbe riaprire la discarica di Cava Riconta per salvare città e provincia dal soffocamento per immondizia. È lì che intorno alla tavola imbandita si riunirono i camorristi di Pianura e dell’area flegrea, quelli del clan dei casalesi, imprenditori massoni appartenenti a logge toscane e amici di politici e alcuni imprenditori aversani proprietari di discariche. Siglarono un accordo che avrebbe segnato il futuro della Campania: la camorra accettava di privarsi di una parte delle tangenti pagate dagli imprenditori sui rifiuti per cederla a politici compiacenti in cambio delle autorizzazioni necessarie per scaricare rifiuti di ogni genere, provenienti anche da fuori regione, e senza controllo. Una consorteria mafiosa che controllava attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti.
La ricostruzione è stata fatta dalla Procura di Napoli nel 1992 con l’inchiesta 'A- delphi' che per la prima volta portava allo scoperto la nascita e la gestione dell’industria criminale dedita allo smaltimento abusivo dei rifiuti.
Obbligatorio anche un sistema di tracciabilità per conoscere origine, destinazione e tipologia degli scarti.
La riforma introduce anche diritto e azione ambientali oltre al principio dello sviluppo sostenibile. Riformulati anche tempi e modi della Valutazione d’impatto ambientale che d’ora in poi andrà effettuata sul progetto definitivo ed entro un arco di tempo che va dai 150 ai 330 giorni. Eliminato anche il «silenziorigetto », cioè il meccanismo automatico in base al quale in assenza di risposte si considerava rifiutata la richiesta di valutazione presentata.
Inizialmente la Campania doveva essere solo un luogo di transito, soprattutto verso la Somalia, in seguito, di fronte alle difficoltà nel trasporto internazionale dei rifiuti tossiconocivi, è diventata anche luogo di stoccaggio. sono 1.200 le discariche abusive di rifiuti tossici individuate. Un passaggio facilitato dal fatto che i rifiuti costituiscono solo un segmento del ciclo di lavorazione della criminalità organizzata. La camorra da tempo era coinvolta nell’ediliza abusiva e questo significava la possibilità di gestire migliaia di piccole cave abusive in posti pianeggianti, ideali per essere trasformati in discariche abusive e successivamente costruirvi sopra ogni genere di edifici, più o meno abusivi.
La camorra quindi ha prima guadagnato scavando illegalmente le cave, poi riempiendole con i rifiuti pericolosi, infine coprendole con le case. La devastazione del territorio è stata possibile grazie a connivenze di politici e di imprenditori. I primi hanno autorizzato il transito dei mezzi e anche lo sversamento in discariche legali, i secondi hanno trovato conveniente smaltire rifiuti tossiconocivi a prezzi notevolmente inferiori a quelli che avrebbero dovuto invece affrontare.
Un intreccio criminoso che ha permesso alla camorra, compresa quella dei cosiddetti 'colletti bianchi', di costruire una notevole attività imprenditoriale, con un fatturato minimo di 2 miliardi e mezzo di euro all’anno, ma il mercato è in crescita. Questo accade grazie anche alla particolarità del modello campano del ciclo dei rifuti, ossia la preminenza assoluta delle discariche. Il primo rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta del 13 giugno 2007 spiega che quello campano è un «ciclo dei rifiuti che si fonda esclusivamente sulle discariche vive e si alimenta grazie anche al reperimento di siti provvisori e abusivi e alla disponibilità di un sistema di trasporto 'informale', modalità che diede una fortissima presenza della criminalità di stampo mafioso». Il 'trasporto informale' sono i tir che viaggiano, di notte e spesso accompagnati dalle Bmw e dalle Mercedes dei camorristi, con false bolle di accompagnamento. Ultimamente con l’intensificazione dei controlli e dei riflettori massmediali i clan preferiscono far fermare i tir e scaricare la 'merce' in luoghi 'inerti', ad esempio garage o capannoni, per poi effettuare il trasporto nelle discariche abusive, o nei campi trasformati in sversatoi, per mezzo di piccoli furgoni. Completato il trasferimento si dà fuoco ai rifiuti, cui sono stati aggiunti copertoni e stoffa impregnati di benzina per evitare deflagrazioni. Sono le luci che di notte e fino all’alba illuminano la 'terra dei fuochi', il triangolo Villaricca- Giugliano-Qualiano, che in quello che Legambiente ha chiamato il «piano regolatore della camorra», è diventato il deposito illecito dei rifiuti o per lo meno il primo poiché il disegno di camorra, politica e massoneria è molto più ampio e si estende su tutta la regione.
L’area dei tre Comuni resta comunque la preferita essendo ampia, soprattutto verso il litorale domizio, e divisa tra i clan napoletani, tra cui i Lago di Pianura. Il clan che controllano questa parte della provincia e che, confinando con il Casertano, è sotto l’egemonia del 'cartello dei casalesi' (composto di sei famiglie camorristiche), i monopolisti dello smaltimento abusivo. In tutto sono otto i clan che hanno cambiato la faccia ad una terra ricca e fertile, avvelenandola con metalli pesanti, fenoli, amianto, Pcb e altre sostanze altamente tossiche. L’area del Giuglianese è la zona dove il costo per smaltire rifiuti urbani, industriali, speciali, ospedalieri, cimiteriali e tossiconocivi, provenienti da diverse regioni d’Italia, è il più basso. Ed è anche, con l’altro 'triangolo della monnezza', Acerra-Marigliano-Pomigliano, dove si muore di più per cancro.
Il clan controllava tutti i traffici illeciti della zona in collaborazione con i casalesi, con cui condivideva in particolare l’imposizione a tutti gli esercenti di locali pubblici della zona il noleggio di videopoker forniti da una ditta da loro controllata. Rapporti anche con il clan Birra di Ercolano con scambi di gruppi di fuoco. Secondo gli inquirenti i La Torre sono tra le «famiglie» più pericolose del Sud. A loro carico, negli anni, una sequenza di omicidi, compresi quelli del consigliere comunale Antonio Nugnes e del sindacalista Federico Del Prete, ucciso a Casal di Principe. Nonostante il clan fosse stato messo in difficoltà con l’arresto, il 3 agosto 2001, dei due reggenti latitanti, Giuseppe Fragnoli ed Ernesto Cornacchia, e poi ancora nel 2005 da altri 19 arresti, si è sempre ricostruito. Per i magistrati, uomini della cosca hanno assicurato un decisivo appoggio alle giunte comunali di Mondragone nel 2000. Nell’indagine rispunta la Eco4 spa, affidataria, in via diretta e senza alcuna gara, della quasi totalità dei servizi di raccolta dei rifiuti in 18 Comuni del Consorzio Caserta 4. Una società costituita attraverso un «patto di omertà » che legava i suoi amministratori al clan La Torre
Valeria Chianese