La democrazia parlamentare tra i rifiuti
La recente ordinanza n. 3656 del 6 febbraio 2008 del presidente del consiglio, già sfiduciato, reintroduce, sotto la pressione di una parte dei media e del mondo delle imprese, il cosidetto CIP/6, ovvero quel contributo di risorse pubbliche, prelevate dalle tasche dei cittadini, destinato alle imprese che producono energia dalla combustione dei rifiuti. Al di là della sua assoluta inopportunità , già ben evidenziata da molti, tale provvedimento inquieta non poco sul piano della legittimità e del rispetto del principi fondanti dello Stato di diritto.
Provo a spiegarmi meglio: il parlamento italiano, a più riprese, attraverso le due ultime leggi finanziarie, ha, seppur in modo un po’ pasticciato e talvolta ipocrita, eliminato nella sostanza i contributi CIP/6. L’organo legislativo, appunto, con legge dello Stato, ha posto vincoli, limiti e precise condizioni all’utilizzo di tali fondi.
L’ordinanza del presidente del consiglio, allo stato legittimato a regolare unicamente la gestione ordinaria, calpesta la volontà dell’unico organo sovrano e rappresentativo del popolo: il parlamento. Si tratta di un precedente molto grave, di un evidente vulnus al circuito naturale del sistema democratico, un evento che di fatto subordina la volontà generale alla volonta’ di un organo monocratico.
I principi di rappresentanza, della separazione dei poteri, di legalità entrano in uno stato di sofferenza. In un momento in cui da piu’ parti, secondo l’odioso modello bipartisan, si parla di ‘efficienza governativa della decisione’ di democrazia di investitura, piuttosto che, come vorrebbe la Costituzione, di democrazia di indirizzo e della rappresentanza, l’agire governativo alimenta il disagio e l’incertezza. La necessità, allorquando, nel caso dell’ordinanza governativa, diventa fonte della decisione politica, in assenza di una specifica base legislativa, comprime, come la storia recente dolorosamente ci ha insegnato, in modo irreparabile i diritti fondamentali dei cittadini.
Non è pensabile ritenere di risolvere il problema dei rifiuti attraverso ordinanze d’urgenza dal carattere eversivo sul piano istituzionale, che hanno, tra l’altro, un’incidenza diretta su valori costituzionalmente garantiti dei cittadini quali la salute e l’ambiente.
Non é pensabile che questioni di natura finanziaria, legate ad appalti, contratti, negoziazioni, si impongano, attraverso la forma delle ordinanze d’urgenza, a scelte democraticamente assunte dal parlamento.
Non è pensabile che generiche “difficoltà tecnico-economiche” giustifichino incentivi (pubblici) a futuri affidatari privati (sic!).
Non é pensabile che attraverso le ordinanze di urgenza, che per loro natura regolano il contingente, si possano vincolare scelte future. É evidente infatti che la riapertura dei rubinetti CIP/6 a vantaggio dei tre realizzandi inceneritori campani determinerà la “deriva impiantistica”, in assoluto contrasto con il diritto comunitario ed il diritto interno, pregiudicando per sempre la raccolta differenziata e indirizzando la gestione dei rifiuti verso l’incenerimento. In sostanza, l’ordinanza, al di là delle sue enunciazioni formali, pianifica scelte future, non limitandosi ad assicurare la rapida conclusione dello stato di emergenza.
Non é pensabile che logiche neo-feudali di appartenenza corporativa, proprie del mondo degli affari, possano prevalere sulla volontà del parlamento.
L’auspicio immediato è che si ritiri, e al più presto, la suddetta ordinanza, ma auspicio ancor più profondo é che non si vada progressivante verso forme di delegittimazione del parlamento.
Il prossimo parlamento, nel suo complesso, al di là del pessimo sistema elettorale, dovrà riacquistare primato e centralità, e quella dignità e prestigio che la Costituzione del 1948 gli aveva assegnato.
Si tratta di un ruolo che certo non potra’ mai ottenere attraverso il ricorso a maldestre formulette referendarie o comunque di matrice maggioritaria .....ma questa è un’altra storia.