Gestione dei rifiuti e ritorno del modello autoritario tra inefficienze amministrative e irresponsabilità politiche

A margine del decreto legge n. 90 del 23 maggio 2008, contenenti misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile.
3 giugno 2008 - Alberto Lucarelli (ordinario di diritto pubblico- Università di Napoli Federico II)

Trovo molto minaccioso e preoccupante il decreto-legge n. 90 del 23 maggio 2008, rubricato misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania.

In via preliminare, va detto che l'intero impianto normativo si basa sul presupposto che stati di necessità e situazioni di fatto, quali la gravità del contesto socio-economico-ambientale, i rischi di natura igienico-sanitaria e il mantenimento dell'ordine pubblico, diventino a tutti gli effetti fonte del diritto. Ed è noto, che uno degli elementi che ha caratterizzato il passaggio dallo Stato autoritario allo Stato democratico sia stato proprio la negazione che una situazione di fatto possa tramutarsi in fonte del diritto, in fonte di diritti ed obblighi.

Dunque, il ricorso non a eventi straordinari ed imprevedibili, ma allo stato di necessità, cioè ad una categoria meta-giuridica, mina alla radice la legittimità del decreto-legge e degli atti che sulla base di esso verranno adottati - in violazione del principio di legalità - facendo risorgere, dopo il disarmo delle istituzioni pubbliche, un diritto pubblico autoritario, minaccioso e violento che intende attribuire allo Stato, nella sua dimensione politico-amministrativa, unicamente la funzione di paladino della sicurezza, assolutamente irresponsabile nei confronti dei conflitti sociali. Ciò azzera i successi e i traguardi dello Stato democratico, regredendolo a Stato di polizia della fine dell'Ottocento. Uno Stato debole ed inefficiente sul versante socio-economico, ma capace di "tirar fuori i muscoli" nel regolare il mitico rapporto autorità-libertà.

E adesso alcune riflessioni puntuali:

  1. Il ricorso agli impianti di temodistruzione, in contrasto con la normativa comunitaria e la normativa interna, assume valenza prioritaria ed escludente nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti. Le altre fasi, quelle che si incentrano sulla poltica delle “r” (recupero, riciclaggio, riuso, riutilizzo, riparazione) sono assolutamente marginalizzate, al punto da poter compromettere anche le future strategie gestionali. Infatti, la deriva impiantistica (previsione di quattro inceneritori) non può non pregiudicare anche nel futuro la raccolta differenziata., assumendo dunque il decreto una valenza non unicamente legata al contingente, ma in grado di compromettere scelte future.
  2. Il regime delle competenze, fissato in Costituzione, in contrasto con quanto affermato dalla Costituzione, continua ad essere violato ed in particolare sono calpestate le competenze della Regione. Ciò determina una continua “fuga” dal ritorno al regime ordinario.
  3. La costituzione di aree di interesse strategico nazionale, ovvero la militarizzazione di parti del territorio, a presidio degli impianti di termodistruzione e dei siti indicati come discariche si pone in evidente contrasto con principi e valori costituzionalmente garantiti, quali la libertà di circolazione.
  4. La costituzione di aree di interesse strategico nazionale è in contrasto con il principio della trasparenza e quindi viola direttamente il diritto di informazione e il collegato diritto di critica, così come tutelati dall’art. 21 della Costituzione. Diritti che sono il presupposto ad una partecipazione dei cittadini, matura e consapevole.
  5. Sono introdotte regole e sanzioni penali estremamente dure che di fatto negano il diritto di riunione, così come tutelato dall’art. 17 della Costituzione, e in senso più ampio le istanze partecipative.
  6. Le norme relative alla competenza dell’autorità giudiziaria nei procedimenti penali relativi alla gestione dei rifiuti nella Regione Campania introducono di fatto nel nostro ordinamento, giudici regionalizzati, con funzioni straordinarie, in contrasto con il principio dell’unità della giurisdizione e del divieto di istituire giudici straordinari o speciali (art. 102 Cost.).
  7. Le norme che di fatto consentono al termovalorizzatore di Acerra di “bruciare” qualsiasi tipo di rifiuto sono assolutamente immotivate ed illegittime e si pongono in contrasto con quanto più volte affermato dalla magistratura e dalle commissioni bicamerali di inchiesta. Anche tali norme pregiudicano politiche finalizzate alla raccolta differenziata.
  8. Si autorizza in maniera autoritativa ed immotivata l’esercizio del termovalorizzatore di Acerra, in deroga al parere della commissione di valutazione di impatto ambientale, come previsto dal decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005, n. 59.
  9. Con la previsione di quattro termovalorizzatori (si aggiungerebbe quello di Napoli) il ciclo integrato dei rifiuti, in contrasto con la normativa comunitaria e con il diritto interno, si poggerebbe prevalentemente sulla fase dello smaltimento, scoraggiando la raccolta differenziata e vanificando i meccanismi virtuosi, ambientali ed economici, ad essa riconducibili. La deriva “impiantistica” è assolutamente e perniciosa al punto da sviire e pregiudicare il futuro esercizio ordinario di competenze da parte della Regione.
  10. Le norme relative all’informazione e alla partecipazione dei cittadini sono illegittime ed insoddisfacenti, in quanto difformi da quanto previsto dalla Convenzione di Arhus.
  11. Le norme che prevedono che le risorse finanziarie comunque dirette al perseguimento delle finalità inerenti all’emergenza rifiuti nella Campania sono in suscettibili di pignoramento o sequestro e sono privi di effetto i pignoramenti già notificati, sono illegittime in quanto in contrasto con il principio della certezza del diritto e del diritto di difesa.

Alla luce delle suddette considerazioni, è evidente che con l’entrata in vigore del decreto legge il rischio è quello di annullare quel processo di democratizzazione che, attraverso un ruolo attivo del diritto pubblico, aveva contrassegnato il passaggio dallo Stato di polizia allo Stato democratico-sociale.
Il diritto pubblico e il diritto amministrativo contenuti nel decreto-legge assumono una veste penalistica e sanzionatoria, piuttosto che di regolazione dei conflitti sociali e di soluzione delle questioni ambientali e sanitarie.
Il diritto pubblico nel decreto in oggetto abdica al suo ruolo indispensabile, ovvero quello di tracciare le piste dei processi economici e regolare i conflitti sociali.
Il timore è che dopo il disarmo del diritto pubblico e la neo-feudalizzazione degli spazi giuridici, sia cominciato il percorso inverso, un deja vu autoritario e incostituzionale, una vandalizzazione dei principi costituzionali . Il ritorno bonapartista dell’uomo forte e decisionista è un richiamo allo stesso tempo infantile e pericoloso.
Mi auguro tuttavia, che oggi, seppur tra tante ambiguità ed ipocrisie, questo processo di vandalizzazione dello Stato democratico, che dimostra tutte le sue debolezze, possa trovare ostacoli da parte del diritto internazionale e dal nascente “diritto pubblico europeo” e che il decreto legge venga ritirato o modificato radicalmente in sede di conversione.
Mi auguro che tale atto, per verificarne la sua illegittimità, lo si raffronti alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla Carta europea dei diritti fondamentali.
Mi auguro che la Regione Campania sia in grado di “far sentire la sua voce” a difesa e in rappresentanza dei cittadini, impugnando dinanzi alla Corte costituzionale il decreto legge per violazione del principio costituzionale del regime delle competenze.

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