Campania, radiografia di uno scempio

Estratto dal rapporto Ecomafie 2013
21 ottobre 2013 - Legambiente

È la Campania a guidare anche quest’anno, come già accennato, la classifica dell’illegalità ambientale nel nostro paese, con 4.777 infrazioni accertate (nonostante la riduzione rispetto al 2011 del 10,3%), 3.394 persone denunciate e 34 arresti. E il discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento sia per quello dei rifiuti. Un primato che da solo giustifica il vero e proprio grido di dolore lanciato in questo rapporto Ecomafia da Donato Ceglie, oggi magistrato in forza alla Procura generale di Napoli e prim’ancora, per molti anni, pubblico ministero della procura di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta: “La regione Campania, ma in particolare il territorio delle province di Napoli e Caserta, è un unico enorme disastro ambientale. Migliaia e migliaia sono le costruzioni abusive, le cave illegali, le discariche ove centinaia di criminali per decenni hanno interrato e smaltito illegalmente quantitativi ingentissimi di rifiuti (...). È il paesaggio stesso a essere stato alterato, abbrutito, mutato per sempre. L’articolo 9 della Costituzione, che obbliga lo stato a tutelare il paesaggio, è in questa regione abrogato”. Non aveva usato parole meno drammatiche il pubblico ministero Alessandro Milita descrivendo, durante la sua audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, l’impatto sull’ambiente, tra Giugliano e le zone limitrofe, dello smaltimento illegale di centinaia di migliaia di tonnellate di scorie, speciali e pericolose, gestite dal clan dei Casalesi: “Si tratta di un caso paradigmatico perché vede un accertato avvelenamento delle falde con, dato più preoccupante, un culmine di contaminazione, pur attualmente presente, che raggiungerebbe l’apice nel 2064. Si tratta quindi di uno di quei casi (l’unico in corso di celebrazione in Italia) in cui una condotta permanente prevede un aggravamento nel corso del tempo, per cui, facendo un parallelismo tra organismo umano e ambiente, può essere soltanto paragonata all’infezione da Aids”. Definizioni simili a quelle del pubblico ministero Milita sono state utilizzate dalla stessa Commissione d’inchiesta nella Relazione dedicata alla Campania, approvata il 5 febbraio del 2013: “La catastrofe ambientale che è in atto e che sta sconvolgendo la città di Napoli e cospicue parti del territorio campano costituisce ormai un fenomeno di portata storica, paragonabile soltanto ai fenomeni di diffusione della peste seicentesca”. Le responsabilità di questa catastrofe hanno radici antiche, anche nel ritardo con cui si è intervenuti per contrastare i traffici illeciti. In uno dei passaggi più inquietanti della Relazione finale della Commissione dedicata alla Campania e all’egemonia dei Casalesi nel ciclo illegale dei rifiuti, si citano le indagini della Criminalpol di Roma che già nel 1996 avevano perfettamente delineato la “dinamica delinquenziale, realizzata in forma programmatica con l’interessato patrocinio dell’ente mafioso, quale copertura dell’attività e fonte di redditi ingenti”.
A questi ritardi e all’incapacità prolungata delle autorità italiane di regolare la “crisi della spazzatura” in Campania ha fatto riferimento anche la Corte europea per i diritti dell’uomo (sentenza Sarno e altri c. Italia n. 30765/08), che nel gennaio del 2012 ha condannato il nostro paese per aver violato i diritti fondamentali di 18 ricorrenti. Sotto accusa era finito il lungo “stato di emergenza”, in vigore dall’11 febbraio 1994 al 31 dicembre 2009, compreso quel tragico periodo di cinque mesi in cui tonnellate di rifiuti restarono ammassate in strada.
Non sono mancati, fortunatamente, i segnali positivi anche per quanto riguarda l’azione dello stato. È il caso della sentenza di primo grado relativa all’inchiesta Carosello Ultimo atto, coordinata dal pubblico ministero Maria Cristina Ribera, che ha visto la condanna dei responsabili di un vasto traffico di rifiuti, consumatosi tra il 2002 e il 2006 tra Acerra, Bacoli e Giugliano. Ma è da sottolineare anche il lavoro svolto dal prefetto Donato Cafagna nella cosiddetta Terra dei fuochi, che dopo anni di denunce cadute nel vuoto e di inerzia delle istituzioni, sta coordinando le prime, efficaci, risposte al fenomeno dei roghi di rifiuti, risalendo anche la filiera illegale dei materiali smaltiti illegalmente, dai vestiti usati agli scarti di pellame fino agli pneumatici fuori uso. Dal ciclo illegale dei rifiuti a quello del cemento, la gravità della situazione, purtroppo, non cambia: “Il settore dell’edilizia e il suo indotto (produzione del cemento e commercio di tutti i materiali essenziali per le costruzioni) – ha scandito il Procuratore generale di Napoli, Vittorio Martusciello nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Castel Capuano – rappresenta uno dei principali interessi della criminalità organizzata. Grazie anche a particolari intrecci con i preposti uffici degli enti locali, l’abusivismo edilizio continua a creare un disordinato sviluppo delle periferie”. A guadagnarci sono, ovviamente, i proprietari degli immobili abusivi e a rimetterci è lo stato, come ha denunciato il Procuratore regionale della Corte dei conti, Tommaso Cottone: “Nonostante l’accertata violazione, le occupazioni abusive sono continuate creando a volte la paradossale situazione che il costruttore abusivo non potendosi considerare proprietario dell’opera, rimarrebbe esonerato dagli oneri fiscali che normalmente gravano sulla proprietà (Imu). Sicché al danno si aggiunge la beffa della mancata entrata. L’occupazione, nella sostanza, finisce con risolversi in una sorta di plusvalore del manufatto abusivo”. La Corte dei conti, ha annunciato il procuratore Cottone, interverrà in maniera decisa: “È questa la sfida per il 2013. Stiamo procedendo a contestare l’ipotesi di responsabilità amministrativa nei confronti dei dirigenti e dei funzionari inadempienti che, con la loro inerzia, hanno tollerato l’abuso senza il risanamento del territorio, senza avviare una proficua utilizzazione del bene e rinunciando nel contempo a un’entrata tributaria gravante sull’immobile”. Uno dei tanti esempi dei danni erariali connessi all’illegalità ambientale su cui hanno acceso i riflettori diverse procure della Corte dei conti, non solo in Campania.

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