Terra dei fuochi ecco le analisi farsa

«Sei mesi per trasmettere a Roma dati fasulli»

La relazione del perito Balestri: controlli in superficie spacciati per analisi della falda
I risultati dalla Provincia all'Istituto superiore di Sanità in un tempo eccessivo
La camorra inquinava mentre la burocrazia si ingrossava senza affrontare l'emergenza
1 dicembre 2013 - Leandro Del Gaudio
Fonte: Il Mattino

Dalla Provincia di Napoli (intesa come Ente, leggi Palazzo Matteottì) al laboratorio romano dell'Istituto Superiore della Sanità, le carte del caso Resit (una falda inquinata, un territorio oggi indicato come altamente a rischio) sono arrivate a Roma solo dopo sei mesi. E una volta giunte le analisi a destinazione, i massimi esperti nazionali di emergenza sanitaria non avrebbero avviato alcuna procedura d'emergenza. Decisive le perizie del consulente tecnico della Procura Giovanni Balestri. Con l'inquinamento della falda acquifera (costato la condanna a venti anni al boss Francesco Bidognetti), si spiega l'avvelenamento di parte dei campi, quelli più vicini alla discarica giuglianese, con inevitabili ripercussioni sull'agricoltura e la salute della popolazione. L'espressione-chiave la usa il geólogo che indaga perla Procura: fattori cancerogeni, si legge nella perizia depositata nel 2010.
Ci sono voluti sei mesi per trasmettere informazioni a Roma. Dalla Provincia di Napoli (intesa come Ente, leggi Palazzo Matteottì) al laboratorio romano dell'Istituto Superiore della Sanità, le carte del caso Napoli, o meglio, del caso Resit (una falda inquinata, un territorio oggi indicato come altamente a rischio) sono arrivate solo dopo 180 giorni. E una volta che sono giunte le analisi a destinazione, i massimi esperti nazionali di emergenza sanitaria non sembra siano saltati dalla sedia. No, anzi, avranno «vistato» il plico arrivato (con un ritardo di sei mesi, meglio ribadirlo) senza scomporsi più di tanto. Aleggere le conclusioni della Procura, sul caso della Resit - discarica dello scandalo alle porte di Napoli - la camorra c'entra fino a un certo punto. Funziona come agenzia, come sistema di mediazione, ma il grosso delle responsabilità - gira e rigira stanno lì, sono di chi doveva intervenire e non l'ha fatto. Di chi si è mosso solo in superificie (con indagini ritenute morbide, inadeguate, se non addirittura «omissive»), o l'ha fatto cu mulando ritardi in modo esponenziale. Inchiesta condotta dalla Dda di Napoli, al lavoro il pm Alessandro Milita, decisive le perizie del consulente tecnico della Procura Giovanni Balestri. Tocca al geólogo toscano scavare nel marcio di una discarica che alcuni osservatori con- temporanei paragonano a una sorta di bomba ad orologeria. Da qui, dall'inquinamento della falda acquifera (costato la condanna a venti anni al boss Francesco Bidognetti), si spiega l'avvelenamento di parte dell'agricoltura limitrofa, con inevitabili ripercussioni sulla popolazione. È così che l'espressione-chiave la usail geólogo che indaga per la Procura: fattori cancerogeni, si legge nella perizia depositata nel 2010. A ritroso poi, il giudizio è impietoso, specie se si considera quanto avvenuto tra il 2000 e il 2003, quando viene inaugurato un tavolo tecnico con una mission di fondo: consentire al prefetto di intervenire per mettere fine all'emergenza rifiuti nel Napoletano, a partire proprio dalla necessità di eliminare un incubo alle porte di Napoli. Se gli accordi presi nel 2000 fossero stati rispettati - emerge dalla perizia - oggi, tredici anni dopo la formazione del tavolo tecnico, la terra dei fuochi non sarebbe la pietra dello scandalo che è diventata. Stando alla ricostruzione della Procura, lo schema è semplice: dagli anni Settanta al Duemila, la camorra ha inquinato, trafficando rifiuti tossici tomba- ti a decine di metri di profondità; alcuni imprenditori hanno poi lucrato sui traffici di scorie provenienti dal Nord (è il caso dell'Acna di Cengio); mentre una intera burocrazia dell'emergenza si è ingrossata senza prendere di petto il problema. Nessun intervento risolutore, sempre a voler dare credito a quanto ha ribadito m questi giorni il consulente della Pro cura dinanzi ai giudici della quinta assise. Trentacinque imputati in Assise: accanto al proprietario della discarica Resit, l'avvocato Cipriano Chianese (che ha sempre insistito sulla sua estraneità alle accuse), ci sono anche funzionari pubblici (tra cui esponenti Arpac), subcommissari antiemergenza, imprenditori e mediatori dei traffici che avrebbero avvelenato ettari di territorio alle porte di Napoli. Sono tré le consulenze depositate in questi anni dal geólogo, la prima è quella che ha suscitato maggiore scalpore mediático: entro 55 anni - scrive il geólogo - la falda sarà completamente inquinata. Processo irreversibile, di fronte alla avanzata lenta ma inesorabile del percolato, che scava ormai da tem po nel sottosuolo. Un allarme che arriva in ritardo, figlio di accertamenti ritenuti blandi, poco efficaci. E lo dimostra - sempre a dare credito al ctu - anche la storia delle analisi dell'acqua. Siamo nel 2010, quando Balestri scrive nella sua seconda perizia sul caso Resit: «In tutti i prelievi effettuati dall'Arpac, si osserva che la temperatura dell'acqua è molto simile a quella dell'aria (in qualunque stagione). Molto strano peruna falda a meno 42 metri dal piano campagna. Anche nei vecchi verbali di prelievo dell'Asl Napoli due - aggiunge il consulente -, la temperatura della stessa acqua di pozzo è di 8 gradi centigradi, con una temperatura dell'aria di 9 (e siamo a febbraio). Viene da pensare (la domanda è sempre del consulente, ndr): non è che quest'acqua anziché provenire dal foro del pozzo non proviene da un serbatoio in superficie?». Appunto: non è che qualcuno in questi anni è rimasto fermo a un sopralluogo posticcio? E che speranza c'era nel 2000-2003, di fronte a confrolli del genere salvare acqua e agricoltura un inquinamento irreversibile? 

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